Per anni ci hanno raccontato che cercare lavoro significava, in fondo, una cosa sola: scrivere un buon CV, mandarlo in giro e aspettare una risposta. Bastava mettere nero su bianco i tuoi studi, qualche esperienza, due righe di presentazione e… sperare che qualcuno ti chiamasse.
Ma oggi, chi ha già provato a candidarsi lo sa: non funziona più così. Spedisci decine di candidature e nessuno risponde. O peggio: ricevi una mail automatica che ti ringrazia per l’interesse, ma “abbiamo scelto un altro profilo”. Il CV resta lì, in una cartella, mai aperto da una persona vera. La verità è che il recruiting è cambiato e continua a cambiare. Le aziende non cercano solo candidati “giusti” sulla carta: cercano segnali, storie, profili che emergano nel rumore. Usano software per scremare le candidature, guardano cosa fai online, osservano come ti presenti. Il curriculum serve ancora — ma non è più l’unico biglietto da visita.
Se vuoi davvero capire come funziona oggi la selezione del personale (e come farti trovare pronto), devi cambiare prospettiva. E imparare a leggere tra le righe di ciò che succede prima e dopo l’invio di quel PDF.
Il nuovo ecosistema del recruiting
Quando invii un CV oggi, spesso non lo legge subito una persona, ma un algoritmo. Le aziende — anche quelle piccole — usano sistemi digitali per gestire le candidature: si chiamano ATS (Applicant Tracking System). Sono software che raccolgono, filtrano e classificano i profili in base a parole chiave, competenze, esperienze. Se il tuo curriculum non contiene i “segnali giusti”, rischia di non superare nemmeno il primo click. E no, non è questione di essere bravi o meno: è questione di farsi leggere nel modo giusto dal sistema.
Ma non c’è solo l’ATS. Il processo di selezione oggi è spesso ibrido:
- annuncio pubblico + ricerca attiva (su LinkedIn o piattaforme di settore)
- screening automatico + lettura umana
- colloqui tradizionali + test online, assessment, prove pratiche
In più, molte aziende cercano profili “caldi”, ovvero candidati che arrivano da canali informali (passaparola, eventi, community, segnalazioni), spesso prima ancora di pubblicare un’offerta.
E poi c’è il fattore “match”. Non basta avere le competenze richieste: serve coerenza con il ruolo, il contesto, il team, i valori dell’azienda. Una selezione, oggi, non si gioca solo sui titoli, ma su quanto il tuo profilo “parla” a chi cerca. Anche per questo, la personalizzazione fa la differenza.
Il recruiting non è più una corsa a chi ha più titoli, ma a chi sa comunicare bene il proprio potenziale, nel modo e nel momento giusto.
Cosa guarda davvero chi seleziona (prima ancora del CV)
Hai inviato il tuo curriculum, ma nessuno ti ha risposto. Oppure, dopo un primo colloquio, non sei stato richiamato. Capita. Ma spesso il motivo non è il contenuto del CV, bensì quello che succede prima — o intorno.
Oggi chi si occupa di recruiting non parte solo dal file allegato. Spesso cerca il tuo nome su LinkedIn, legge come ti presenti nella mail, guarda se hai lasciato tracce online coerenti con quello che dici di voler fare.
Ecco cosa viene valutato prima ancora di leggere le tue esperienze lavorative:
Il tuo profilo LinkedIn
Non serve avere migliaia di contatti. Ma:
- Hai una foto professionale (non da matrimonio, né da passaporto)?
- Hai scritto almeno due righe su chi sei e cosa cerchi?
- Hai segnalato i tuoi studi o un tirocinio, anche breve?
Se il profilo è vuoto o contraddittorio rispetto al CV, scatta il primo dubbio.
La mail di presentazione
Sì, viene letta. E se inizia con “Buongiorno, allego il mio curriculum in riferimento alla vostra offerta…” hai perso un’occasione.
Chi legge apprezza:
- una presentazione breve, mirata, personale
- frasi chiare che mostrano interesse vero, non copia-incolla
- attenzione alla forma (errori, toni fuori luogo, formule automatiche)
Cosa si trova di te online
Non stiamo parlando solo di “reputazione digitale”, ma anche di segnali semplici:
- Sei citato in qualche progetto, articolo, iniziativa?
- Hai un portfolio? Un sito personale? Un post pubblico su un tema legato al tuo ambito?
- Anche un semplice profilo GitHub, Behance, Medium o Notion può fare la differenza.
Non è obbligatorio esserci ovunque, ma qualcosa che parli di te — anche piccolo — aiuta chi seleziona a farsi un’idea più completa.
Prima ancora del CV, i selezionatori cercano segnali di chiarezza, motivazione e coerenza. Non devi sembrare perfetto. Ma devi sembrare vero.
Il CV serve ancora, ma va usato bene
No, il CV non è morto. Ma non può più essere l’unica cosa su cui conti, né può essere scritto come si faceva dieci anni fa. Oggi un curriculum funziona solo se aiuta chi legge a capire chi sei, cosa sai fare e perché potresti essere utile in un certo ruolo. Sembra banale, ma non lo è: la maggior parte dei CV che arrivano in azienda sono confusionari, troppo lunghi, vaghi o impersonali.
Scopriamo cosa rende un CV davvero efficace oggi:
1. Chiarezza prima di tutto
- Massimo 1 o 2 pagine (dipende dall’esperienza)
- Impaginazione ordinata, leggibile anche da smartphone
- Ordine cronologico chiaro: prima le esperienze più recenti
Non serve inserire tutti i corsi, tutti gli stage, tutte le attività mai fatte. Serve selezionare quelle più rilevanti per il ruolo a cui ti stai candidando.
2. Personalizzazione
Un CV generico si riconosce al volo. Se mandi lo stesso file a 20 aziende diverse, rischi che nessuna si senta scelta.
Personalizza l’obiettivo iniziale, metti in evidenza le esperienze utili per quella specifica posizione, adatta il linguaggio. Un piccolo sforzo in più può fare la differenza tra “archiviato” e “contattato”.
3. Risultati, non solo compiti
Non limitarti a dire che “hai gestito un progetto” o “svolto un tirocinio”. Prova a spiegare cosa hai imparato, ottenuto o migliorato.
Esempio:
- No: “Stage presso ufficio marketing”
- Sì: “Durante lo stage ho contribuito alla campagna social del brand X, aumentando le interazioni del 20%”
Anche per esperienze piccole o non retribuite, puoi mostrare iniziativa e impatto.
4. Cura formale (ma non fredda)
Attenzione a:
- Errori di battitura
- Foto fuori contesto
- File salvato con nomi tipo “CV definitivo 2023 NEW OK (2).docx”
Dai un nome chiaro al file (es. “CV_Rossi_Giulia.pdf”), evita frasi fatte, mantieni uno stile professionale ma non robotico. Non devi sembrare un manager: devi sembrare te stesso, in una versione curata.
Il CV oggi è come una mappa rapida: deve aiutare chi legge a orientarsi subito. Se deve “scoprirti” faticosamente, probabilmente passerà al prossimo.
Lettera di presentazione, sì o no?
Molti la scrivono controvoglia, altri la copiano da internet, alcuni la saltano del tutto. La lettera di presentazione è uno di quegli strumenti che fanno ancora discutere: serve o non serve? La verità è semplice: dipende da come la usi.
Se la tua lettera è un copia-incolla impersonale tipo:
Gentile azienda, sono molto interessato a lavorare con voi. Allego il mio CV nella speranza di un riscontro positivo…
…allora tanto vale non mandarla.
Ma se riesci a usarla per raccontare perché stai facendo quella scelta e cosa ti ha spinto a candidarti per quel ruolo, può fare una grande differenza. Non deve convincere, deve raccontare. Non deve essere lunga, ma mirata.
Quando ha senso scrivere la lettera di presentazione
- Se il ruolo è ambito o particolare, e vuoi differenziarti dagli altri candidati
- Se il tuo percorso non è perfettamente lineare e vuoi spiegare un passaggio o una scelta
- Se hai davvero qualcosa da dire in più rispetto al CV
Come renderla efficace (e umana)
- Attaccati a qualcosa di concreto: perché ti interessa proprio quell’azienda?
- Mostra coerenza: come si lega quel ruolo con ciò che hai fatto o vuoi fare?
- Racconta un passaggio: cosa ti ha portato lì?
Esempio:
Durante il mio tirocinio in biblioteca mi sono reso conto di quanto la comunicazione digitale possa avvicinare le persone ai contenuti culturali. Per questo ho scelto di specializzarmi in content design e ho iniziato a seguire progetti simili a quello di [azienda X]…
Una lettera scritta così non deve essere perfetta, ma fa capire chi sei, cosa ti interessa, dove stai andando. E questo — oggi — vale più di mille parole chiave nel CV.
Non è obbligatoria. Ma se decidi di scriverla, falla tua. Meglio niente che qualcosa di finto.
I canali alternativi per farsi trovare
Non esistono solo LinkedIn e i siti con gli annunci di lavoro. Sempre più spesso, chi assume scopre potenziali candidati fuori dai canali ufficiali. Come? Attraverso community, eventi, segnalazioni o contenuti pubblicati online.
Esploriamo alcuni canali alternativi che puoi iniziare a esplorare anche se sei ancora all’università o ti sei appena laureato.
1. Candidature spontanee (ma ragionate)
Scrivere a un’azienda che ti interessa prima ancora che pubblichi un’offerta può sembrare audace. Ma se lo fai con criterio, è una mossa vincente.
- Scrivi a un referente preciso.
- Dimostra che conosci i loro progetti.
- Spiega perché vuoi contribuire (non solo “lavorare per loro”).
Una mail ben scritta può aprire una porta che prima non c’era.
2. Eventi, fiere, hackathon, community
Partecipare a:
…ti permette di incontrare persone, farti conoscere, far vedere come lavori. Molte selezioni iniziano proprio così: “L’ho conosciuto lì. Mi aveva colpito”.
3. Stage e collaborazioni (anche brevi)
A volte partire da una collaborazione breve è il modo migliore per costruire credibilità. Anche uno stage fatto bene può trasformarsi in un’offerta, se:
- ti fai notare per atteggiamento, puntualità, spirito di iniziativa
- ti mostri interessato davvero, anche se il ruolo non è perfetto
- lasci una buona impressione: anche se non ti prendono, ti segnaleranno
4. Progetti personali e portfolio curato
Hai scritto un articolo? Creato un piccolo sito? Realizzato un podcast? Coordinato un gruppo? Tutto questo vale più di mille righe sul CV, se riesci a mostrarlo bene. Non devi essere un artista o un programmatore. Ma avere qualcosa da far vedere (un progetto, un’idea, una pagina, un esperimento) ti distingue subito dalla massa. Oggi le aziende cercano anche chi non sta cercando. Se ti fai trovare nei posti giusti, può nascere un’opportunità prima ancora di candidarti.
I colloqui non sono più come una volta
Un tempo bastava presentarsi in orario, stringere la mano, rispondere alle domande con sicurezza. Oggi, un colloquio può durare 20 minuti o essere spezzato in 3 fasi diverse. Può essere su Zoom, con un test a tempo, o in gruppo. In alcuni casi, non prevede nemmeno un faccia a faccia, ma solo una serie di task online. Il colloquio di lavoro 2025 è cambiato — e continuerà a cambiare.
Vediamo cosa aspettarsi davvero, e come arrivarci preparati.
Non cercano solo competenze, ma anche mindset
Nel primo colloquio, soprattutto se sei giovane, non ti verrà chiesto di “sapere tutto”. Ti verrà chiesto:
- come reagisci a una situazione nuova
- se sai lavorare con gli altri
- se ti fai trovare pronto quando serve
Molte aziende parlano ormai di cultura organizzativa: vogliono capire se puoi integrarti nel team, condividere lo stile di lavoro, comunicare in modo efficace. Questo significa che la tua personalità conta, anche più del titolo di studio.
Prove pratiche, test, role play: servono a capire “come pensi”
In alcune selezioni, ti verrà chiesto di:
- risolvere un caso pratico
- scrivere una mail “finta” a un cliente
- ragionare su un problema a voce alta
Non è un esame a scuola. Non ci sono risposte giuste. Il selezionatore vuole capire come affronti la situazione, se chiedi chiarimenti, se ti blocchi, se riesci a spiegare quello che fai.
Consiglio: se ti danno un task, non partire a razzo. Fermati, fai domande, spiega cosa faresti e perché. Mostra il ragionamento, non solo la soluzione.
Colloqui online: sembrano facili, ma nascondono insidie
Fare un colloquio su Google Meet o Zoom è comodo, ma ha le sue regole:
- Cura l’ambiente (no rumore, sfondo ordinato)
- Guardati allo specchio: ti vedi spento? Fai un respiro, sorridi
- Non leggere: si nota. Piuttosto, preparati a raccontarti con parole tue
Il rischio del colloquio online è apparire distanti, distratti, scollegati. Allenati con un amico o registrati: è il modo migliore per migliorare.
Le domande non servono solo a loro, servono anche a te
Alla fine, arriva sempre: “Hai domande?”. E lì spesso crolla tutto.
Evita: “No, avete già detto tutto.”
Rispondi con una domanda: “Sì, vorrei capire meglio come funziona l’inserimento nei primi mesi…”
Fare domande non è un fastidio. È un segnale di interesse vero. Dimostra che non ti stai candidando ovunque, ma che stai scegliendo anche tu. Il colloquio non è un test da superare, ma una conversazione da costruire. E chi la costruisce meglio, spesso è anche chi viene ricordato di più.
Farsi trovare online: visibilità, credibilità, coerenza
Essere online non significa semplicemente “avere un profilo social”. Oggi, costruire una presenza digitale coerente può fare la differenza tra restare invisibili e ricevere una proposta interessante anche quando non stai cercando.
La verità è che, spesso, chi fa selezione ti cerca prima ancora che tu lo sappia. E quello che trova — o non trova — può orientare la sua decisione. Non serve diventare influencer o postare ogni giorno. Ma serve essere presenti nel modo giusto.
Il tuo nome su Google
Provaci: cerca il tuo nome e cognome. Cosa esce? Una pagina social aggiornata? Un blog fermo al 2017? Una foto di gruppo di qualche progetto universitario? Se chi seleziona ti googla — e succede molto più spesso di quanto pensi — è importante che trovi qualcosa che racconti chi sei oggi, non chi eri al liceo.
Tre elementi da curare con costanza
- LinkedIn – Anche se non sei un manager, avere un profilo curato aiuta:
– Inserisci un titolo chiaro (es: “Laureando in Economia con interesse per il marketing sostenibile”)
– Aggiungi esperienze formative e anche attività extracurricolari
– Non copiare il CV parola per parola: raccontati in modo più discorsivo - Portfolio online – Se hai anche un minimo di materiale da mostrare (un progetto, una tesi applicata, un corso con output pratico), caricalo da qualche parte:
– Sito personale (anche su piattaforme gratuite tipo Notion)
– Behance (se sei nel creativo), GitHub (per l’IT), Medium/Substack (per scrittura)
– Un PDF ordinato da allegare quando ti candidi - Cura della coerenza – Non significa “essere perfetti”, ma non essere contraddittori:
– Dici di voler lavorare nel settore cultura, ma tutti i tuoi post parlano di startup e tech?
– Scrivi una bio appassionata di educazione, ma nel portfolio c’è solo project management?
Rivedi tutto con occhio critico: comunichi davvero quello che vuoi diventare?
Altri modi per essere visibili (senza esporsi troppo)
Se non ti piace “esporti” troppo sui social, puoi comunque lasciare tracce intelligenti:
- Commenti su LinkedIn: aggiungi riflessioni a post interessanti del tuo settore
- Newsletter o blog di nicchia: iscriviti, partecipa, condividi contenuti
- Community tematiche: su Discord, Slack, Telegram (spesso ci sono anche offerte esclusive)
Anche solo esserci, seguire, interagire con intelligenza ti rende visibile a chi lavora in quel mondo.
In un contesto in cui “farsi trovare” vale quasi quanto “candidarsi”, la tua presenza online può diventare uno strumento attivo di lavoro, anche se non sei un esperto digitale.
Cosa puoi fare già ora per entrare nel radar giusto
Magari ti sembra troppo presto per farti notare. Pensi che finché non avrai un vero lavoro, uno stage importante o un’esperienza all’estero, non ci sia molto da raccontare. In realtà, è proprio adesso che puoi iniziare a costruire qualcosa. Non serve avere già tutto pronto: bastano piccoli passi, fatti con consapevolezza, usando le risorse che hai già.
Ecco cosa puoi fare da subito per entrare nel radar di chi seleziona, anche senza un curriculum perfetto:
- Cura il tuo profilo LinkedIn (o crea il primo)
Non servono carriere brillanti per iniziare: basta essere chiari, coerenti e autentici. Scrivi una bio che racconti dove vuoi andare, aggiungi le esperienze che hai (anche quelle informali) e inizia a seguire aziende, persone e contenuti del tuo settore. - Partecipa a un evento o workshop (anche gratuito)
Cerca iniziative organizzate dalla tua università, da enti locali o online. Sono occasioni per allenarti, farti domande, conoscere professionisti, e magari scoprire un ambito che non avevi mai considerato. - Inizia un micro-progetto personale
Hai un’idea? Un interesse? Un tema che ti appassiona? Scrivi un post, un articolo, una piccola ricerca. Crea un profilo tematico, una raccolta di risorse, una bacheca online. Anche le cose piccole, se portate avanti con costanza, parlano di te. - Chiedi feedback, non solo opportunità
Invece di scrivere “Avete posti aperti?”, prova con: “Sto cercando di capire meglio come funziona il vostro settore. Posso farvi qualche domanda?”
Molti professionisti sono più disponibili di quanto immagini, se li coinvolgi con rispetto e curiosità. - Lavora sul tuo racconto, non solo sul CV
Allenati a spiegare chi sei, cosa cerchi e perché. Ti servirà per i colloqui, le lettere di presentazione, le bio, i pitch. Più ti eserciti, più saprai trasmettere valore anche senza “grandi nomi” nel curriculum.
Non aspettare il momento giusto: costruiscilo tu
Il mondo del lavoro non è più un treno da prendere al volo, ma una rete di percorsi possibili. Non conta solo cosa sai, ma come lo racconti. Non conta solo dove sei, ma dove vuoi andare. E oggi, entrare nel radar giusto non è questione di fortuna, ma di attenzione, curiosità e piccoli passi strategici.
Inizia ora: il miglior momento per lavorare sul tuo futuro è prima che qualcuno te lo chieda.





